Gentile ministro Fornero,
vorrei invitarla a cena.
Lei ha l’età dei miei genitori e io quella di sua figlia. Non solo: mi chiamo Silvia, come sua figlia, e come lei ho studiato medicina. E sono ben educata e non lascio niente nel piatto. Sono sicura che sarebbe facilissimo capirsi e trovarsi simpatiche.
Intanto, se ne ha voglia, tra l’antipasto e la panna cotta (o il tiramisù, scelga lei), le racconterei due cose sulla mia partita Iva.
Solo sulla mia, sia chiaro: quelli come me sono non-rappresentabili per definizione.
Non so, forse potrebbe scoprire di avere qualcosa da imparare, come ogni tanto capita ai miei genitori. E’ buffo, sa: loro vivono la mia partita Iva come una malattia infantile che non guarisce mai, uno strano esantema che si è tatuato sulla mia faccia e mi rende un po’ diversa da loro, ma non per questo meno disposta alla ricerca della felicità, magari qualcosa su cui stare all’erta, come un handicap leggero e ben vissuto. Finché non succedono guai, sono solo un po’ bislacca: e allora speriamo che non succedano guai.
Per esempio, le racconterei quanta rabbia fa quando ti chiedono la fattura ma poi non ti pagano per mesi. E rabbia è poco.
Siccome chi è professionista (attenta a questo passaggio) paga l’Iva a ogni trimestre, ti può capitare di anticipare diverse migliaia di euro in un trimestre in cui non hai incassato niente, come sta capitando a me in questi giorni.
Non è che se sei una partita Iva e sei professionista hai maggiori tutele, anzi. Anzi. Non sto incassando niente e dovrò anticipare un sacco di tasse.
Ma i miei amici che non sono iscritti a nessun albo professionale (mettiamo, i laureati in filosofia, tipo, o in fisica) adesso non dormono la notte per la norma dei sei mesi di contratti su un anno con un unico cliente: adesso quello che temono è che le aziende per cui lavorano si limiteranno a contrattualizzarli sei mesi. Punto. Mica a regolarizzarli.
Quelli come me, intanto, potranno tranquillamente lavorare con la cosiddetta falsa-partita-Iva. Che non è, attenzione, solo essere monocliente, cioè fatturare (quasi) solo per un unico cliente all’anno, ma è più banalmente lavorare per qualcuno che, anche solo per due mesi, ti fa firmare un contratto liberoprofessionale ma poi ti chiede lavori con tempi e mansioni di un dipendente. Senza tutto il resto.
Ed è difficile che, potendolo fare, avendone la fortuna e gli strumenti, non cercherò di lavorare per altri nei finesettimana o dopo cena: ha presente che paura viene quando d’un tratto ti escono cinquemila euro che, forse, recupererai nei mesi successivi, chissà quando?
Allora giù a cercare altri clienti, diamoci da fare: mai e poi mai voglio trovarmi monocliente.
Noi professionisti e loro non professionisti non abbiamo mai pensato di essere rivali. O meglio: noi partite Iva siamo per definizione l’una rivale dell’altra, sennò non ci avrebbero inventato. Sennò non sarebbe così facile tenerci buoni, sennò non riusciremmo a stare zitti. Ma a questa distinzione non avrei mai pensato.
I miei colleghi, comunque li consideri, sono qualcuno iscritto a un albo e qualcuno no, ma le assicuro che non ho mai visto contratti diversi tra i miei e i loro. Da adesso cominceremo a immaginarci nemici, perché se a lui lo contrattualizzano sei mesi forse a me ne danno dodici, però se non mi pagano puntualmente sono guai, e così via.
Che fatica, ministro.
Sa che cosa? A me la partita Iva piace. Non saprei spiegarle bene perché. Ci sono cresciuta: è la mia identità professionale. E infatti non è lei il problema.
E’ l’azienda, l’istituto, l’università (pubblici, nella maggioranza dei casi) che non paga per mesi e mesi, e ti lascia senza nessuna possibilità di ribellarti, il problema. E’ questo paese in cui una come me ha dovuto spiegare, più volte, all’agenzia delle entrate come ha fatto a comprare casa (ha presente quel signore chiamato babbo?), dovendo contestualmente dimostrare di non possedere cavalli da corsa, elicotteri e fuoribordo, ma solo una bicicletta e un abbonamento dell’Atac, mentre il parrucchiere e il pizzaiolo di fiducia non le hanno mai fatto lo scontrino. E’ la sensazione di abbandono e incomprensione che mi monta addosso quando leggo i giornali. E’ questa cosa per cui si parla per mesi dell’articolo 18 quando, fatti e rifatti i calcoli, conosco solo un mio coetaneo che è direttamente toccato dalla questione.
Vabbè, ministro. Vado a sistemare la contabilità del trimestre, ché domani devo spedirla alla commercialista (siamo già al 26 del mese!).
Se accetta il mio invito a cena, però, non voglio storie: offro io. Tanto mi faccio fare fattura, e poi ci scarico l’Iva.