Beh, che cosa mi aspettavo? Che qualcuno avrebbe alzato il ditino e… Come cavolo hai fatto a parlare per venti minuti o giù di lì di cambiamenti climatici, a raccontare Durban, intervistare Pachauri e i contestatori, e a non nominare mai, mai, il protocollo di Kyoto?
Cioè. Io pensavo che tutti l’avessero sentito almeno una volta nella vita. Che ci fosse una dimestichezza generalizzata di livello zero con la cosa, tipo: boh, cioè, è tipo un accordo internazionale, cioè, tipo per abbassare l’inquinamento. Ecco: pensavo che una cosa così potesse dirla il meno scolarizzato di noi, uno alla Lorenzo di Avanzi. E invece evidentemente no. Ingenua.
Così me lo hanno fatto togliere.
Però evidentemente non serviva nemmeno. Così nessuno oggi, nemmeno il più rompipalle dei colleghi, lo ha notato.
Cioè, hanno notato quasi tutto: il blocco degli appunti di Radio3 (sentimentale…), il maglione con il cappuccio storto, il viso lucido e sudato, la sciarpa di alpaca, il gelo in laguna di Venezia. Sembra che sia stata osservata in tutti i modi. Una mia amica sorda ha persino notato che mi sono rivolta a una persona toccandola, come faccio per parlare con lei e, per estensione, con suo marito (udente) e con tutti i nostri amici, che siano sordi o udenti non importa. Una zampata sul braccio.
Ma l’assenza di Kyoto no, non l’ha notata nessuno. Che strano.
E nessuno mi ha detto niente dell’inizio della puntata. Questa era una cosa per palati fini, ma i palati fini in genere sono anche dei gran cacacazzi, e invece.
Perché, vista dal mio divano, la cosa suonava così: zanzanzanzanzan (sigla), due mesi dopo (!) il terremoto dell’Aquila qualcuno ha rivelato che quel terremoto era previsto (“tutta la comunità scientifica sapeva che stava arrivando!”) eppure, colpevolmente, si è deciso di non fare niente, zanzanzanzan…
Segue presentazione della nuova redattrice specialista di scienza.
Io, minimo minimo, a quella nuova redattrice avrei mandato due righe di mail dicendo ma tesoro mio: com’è che avete aperto la puntata così? cioè: avete verificato la fonte? vi siete mica imbattuti in qualche prova di quel che è stato detto? avete fatto due telefonate di sicurezza? e avete mica cercato di capire un po’ meglio quel che è successo e quel che succede lì? ma soprattutto: era proprio necessario? non pensate che sia un messaggio poco corretto da dare agli spettatori, tanto più che poi parlavate d’altro?
E quella nuova redattrice di scienza si sarebbe trovata in difficoltà: già ce la vedo. Avrebbe risposto balbettando, poi avrebbe girato le mail al capo, avrebbe avuto paura di fare la parte dell’impertinente e soprattutto avrebbe cercato di cancellare quell’enorme ve l’avevo detto, io! che a quel punto le sarebbe spuntato a lettere cubitali sulla fronte e che sarebbe stato poco opportuno mostrare ai nuovi colleghi.
E invece.
Quando facevo le mie cosine alla radio il cacacazzi non mancava mai. Piuttosto ti correggeva l’ortoepia. Piuttosto sbagliava di grosso. Piuttosto parlava d’altro. Ma le pulci me le faceva sempre. Quando faccio le mie cosine alla tivvù il cacacazzo scompare.
Ho un naso perfetto, lo so, modestamente. Sorrido in modo grazioso, a volte. Non sono precisamente una cozza, anche se mi vesto un po’ come viene e non mi so truccare. Ma cacacazzi, vi prego: tornate. Non fatemi sentire sola. Non fatemi pensare che alla tivvù basti un bel faccino per farsi perdonare le facilonerie e distrarre le masse.
O almeno fatemi qualche domanda: perché tutti quei pesci e nemmeno un albero? perché a Durban non hai intervistato nemmeno un europeo? perché c’è un barracuda in laguna?!
Adesso è troppo tardi (eh… dai). L’unica che mi ha fatto una domanda intelligente è stata la solita amica. Dice come hanno fatto a sconfiggere la terribile epidemia tropicale in provincia di Ravenna? Brava, grazie per la domanda. Ho la risposta. Lo avevo chiesto ma poi ho dovuto tagliarlo. Tagliarlo, come Kyoto e come l’immagine di un paio di scarpe che vi avrebbe sicuramente fatto discutere moltissimo.