Archivio mensile:luglio 2012

Cose che ti dicono quando sei piccola e che da grande non funzionano più

Oggi è il 9 luglio: i trentacinque si avvicinano a passi da gigante. E dopo i trentacinque so che succedono cose orribili.
Mi hanno detto che si smette di essere ufficialmente giovani, che aumenta la percentuale tassata sui diritti d’autore (sotto ai 35 si pagano le tasse sul 60%, sopra sul 75%, ditemi voi che ingiustizia) e che non potrò più aprire una società alla modica cifra di un euro, accidenti.
Mi dicono anche che i chili presi non si perderanno più (per i primi cinque non mi preoccupo poi tanto, su), che la fertilità comincerà a calare a picco (comincia a essere tardi per progettare l’invasione del pianeta? spiritosi), che potrebbero comparire i capelli bianchi (potrebbero).
E poi ci sono cose che i grandi ti confessano solo quando cominci a essere grande anche tu. Forse succede a tutti verso i trentacinque, non so.

Tipo: quando sei piccola i grandi non la finiscono più di spiegarti che il lavoro è una responsabilità verso la società tutta, che va svolto con serietà, che è la cosa che ci rende adulti e partecipi di questo mondo, infatti la Costituzione blabla, e infatti gli scaldasedie e i fannulloni sono da guardare con disprezzo come parassiti della società.
Aggiungono anche che bisogna essere sempre onesti e chiari, limpidi: difendere le proprie idee e i propri diritti con la serena certezza che le istanze giuste saranno premiate.
E sulla scuola: mi raccomando, studia e sii diligente perché nella vita sono queste le cose che contano. Nella vita, ti dicono finché sei piccola, chi è più bravo, chi sa più lingue, ha studiato di più, letto di più e capito di più, avrà più opportunità e più rispetto: sceglierà che cosa fare, non avrà padroni e sarà più felice.

Poi arrivi verso i trentacinque e le cose cambiano. Sei lì che tieni il muso per un’ingiustizia o per una delle solite cialtronate professionali che devi subire di continuo, e intanto i grandi ti guardano quasi con tenerezza. Poi, finalmente, con tono cospiratorio, ti rivelano il trucco per una vita tranquilla: non incazzarti troppo, sta’ buona, fa’ quello che devi fare, consegna, riferisci, scrivi due righe, manda una mail educata, non strillare, attenta a non farteli nemici, non fare troppo casino, pazienta, tieni un profilo basso e ricordati che questa è l’Italia.
Ah.
Ma allora… tutta quella storia…?
No, quella storia dimenticatela. Adesso sei grande.
..
Scopri anche, verso i trentacinque, che non è vero che i più bravi a scuola sono i più premiati. Quelli che hanno fatto fisica sono ancora i più bravi della classe, sono gli scienziati italiani riconosciuti in tutto il mondo e blablabla, ma siamo qui che tagliamo i fondi alle loro ricerche, senza troppi complimenti.
Poi avevamo messo in piedi il sistema di valutazione della ricerca: eh, me lo dicevano, da piccola, che i più bravi possono scegliere di più, sono più rispettati e felici perché hanno più opportunità. Nonostante tutto, mi sembra che si possa essere contenti di avere un sistema che cercherà di capire chi fa le cose migliori: mi dicevo prima di avvicinarmi ai trentacinque. Solo che poi è arrivato il fatidico luglio del 2009 e ho scoperto che la spending review che leva soldi alla ricerca è uscita prima del completamento della valutazione, insomma: è stata fatta senza proprio chiedersi chi siano i più meritevoli, quelli del rispetto e delle opportunità.
Ah.

A me le cose che dicevano da piccola piacevano tanto e non vedevo l’ora di diventare grande per sentirmi utile e onesta, una brava cittadina.
Adesso ci credo meno. Poi ci sono quelle faccende dei chili e dei capelli bianchi, e alla fine tutta quest’ansia di vedere il mondo dei grandi mi sarebbe anche già passata.
Ci possiamo fermare qui?

(Sto partendo per le vacanze: diventerò grande in giro per il mondo. Buona estate a tutti e ci risentiamo in agosto)

Il bosone e la spending review: non ci si annoia mai con la scienza italiana

Avrete notato la coincidenza. Si festeggia per il bosone di Higgs e si piange per la spending review.
Io c’ero, alla sede dell’Infn, mentre si stappava lo spumante. La fisica italiana nel mondo faceva la ola, ci si poteva aspettare che da un momento all’altro Fabiola Gianotti corresse sotto la rete a mostrare i muscoli alla curva: ci stavamo divertendo un sacco. Intanto uscivano le notizie sui tagli agli enti di ricerca. Tutto in un giorno.
Allora abbiamo telefonato al ministro. Cioè: il presidente dell’Infn, come da scaletta, ha ricevuto la telefonata del ministro Profumo, e invece di limitarsi a fare alè ohoh per il bosone, ha chiesto anche informazioni sulla faccia oscura di quel mercoledì: che fine faranno i nostri investimenti? I giovani scienziati e il loro lavoro? Che fine farà la scienza italiana?
La telefonata era in viva voce e giornalisti e scienziati erano lì sull’orlo della noia, col bicchiere già pieno in attesa del brindisi, pronti ad ascoltare parole di circostanza. E invece la risposta del ministro, in sintesi, a grandi linee, per come l’ho capita io e, a giudicare dagli sguardi dei presenti in sala, anche molti altri, è stata: beh, non sottovalutate anche la ricerca privata! Ah, vero. E poi, ha insistito: la ricerca è una grande impresa internazionale, è anche giusto che i nostri giovani scienziati vadano all’estero, anzi, dovremmo incoraggiarli a farlo: poi potremmo pensare di invitarli a Natale, accogliendoli sul divano letto dell’ingresso, e di restare in contatto con loro via Facebook o anche via Gugolplas, se avete capito come funziona, e magari a Pasquetta si va tutti in pizzeria.
Non ho preso appunti, lo ammetto, per cui forse la frase non era esattamente questa. E la storia della ricerca come grande impresa umana senza confini a me personalmente è sempre piaciuta. Solo che non era il momento di usarla così, dai, mentre da Ginevra arrivavano immagini di gente festante per l’arrivo di un bosone che parla anche italiano, capaci di consolarci persino dopo un europeo perso in finale.
Così quando la telefonata è finita, tra le sghignazzate amare dei giornalisti in sala e gli sguardi smarriti degli scienziati, l’unico commento che è stato fatto ad alta voce è stato uno sconsolato: beviamo, sennò si riscalda lo spumante…

Intanto, altro che calda: la mia casella di posta elettronica è rovente.
I ricercatori dell’Inran hanno occupato l’istituto (vi terrò informata sui dettagli, se loro ne daranno a me). La mia amica ricercatrice, quella dei gattini di qualche post fa, sta cercando qualcuno che le presti una tenda per accamparsi nel cortile. Semmai scrivetemi e gliela farò avere.
Mi anche arrivano comunicati stampa di istituti che, di nuovo come qualche anno fa, dovranno essere accorpati ad altri. E intanto si ribellano finché possono e come possono.
Tipo con una lettera al Presidente della Repubblica: “Come si può abortire un processo di riforma avviato da tempo, per avviarne rapidamente un altro di portata apparentemente ben superiore, senza un processo di preparazione, una progettualità, un consenso? … – scrivono dall’Ogs – Avendo introdotto un tale elemento di incertezza sul futuro del settore, sarà più difficile ottenere contratti di ricerca, si dovrà correre ai ripari per assicurare il lavoro del personale a tempo determinato degli enti che si accorperanno. Si perderanno di vista gli obiettivi per esplicare pratiche amministrative, già asfissianti nella vita quotidiana dei nostri Enti”. E soprattutto: a che serve? A chi serve?
Il poco che ho capito è che questi accorpamenti renderanno la vita più difficile a chi lavora negli istituti accorpandi, che impediranno loro di essere autonomi nella ricerca di fondi (anche di fondi europei), e che nessuno ci guadagnerà molto.
Poi ci sono i tagli che riguardano tutti e che sono riassunti bene qui.

Tra le vittime degli accorpamenti, i matematici. Quelli non si capisce mai troppo bene che cosa facciano. Ma sui loro conti non c’è niente da dire. Ecco la loro nota (i corsivi sono miei e mi sembra che dicano quello che dicevano i geofisici triestini dell’Ogs):
“Oggi, 5 luglio 2012, il consiglio scientifico dell’Istituto Nazionale di Alta Matematica (INdAM), unico ente Nazionale di Ricerca della Matematica Italiana, si era convocato per programmare l’attività scientifica dell’istituto nella prospettiva di un cospicuo finanziamento appena assegnatogli dalla comunità europea. La notizia della soppressione dell’ente ha creato sconcerto tra tutti i componenti del consiglio, non ultimo, per il palese contrasto tra le motivazioni che si usano per giustificare tale operazione e l’insensatezza della stessa, anche dal punto di vista del risparmio.
I dati economici parlano da soli. Sopprimendo l’INdAM e trasferendone il finanziamento pubblico per le attività di ricerca al CNR si risparmierebbero circa 20 mila euro all’anno: si tratterebbe infatti del solo rientro delle spese per gli organi direttivi dell’istituto incluso il compenso del Presidente dell’Ente (il consiglio Scientifico ed i direttori dei Gruppi operano gratuitamente). Di contro, la perdita dei finanziamenti non ministeriali che provengono da altri soggetti pubblici e privati, in Italia e all’estero, aventi come unico referente l’INdAM, ammonterebbe ad alcuni milioni di euro, in gran parte utilizzati per l’alta formazione e l’avviamento alla ricerca dei giovani”.
Cioè: eravamo qui a dividerci un milioncino, e ci dite che dobbiamo scioglierci per risparmiare ventimila euro?!
Ora, a me ventimila pare davvero poco. Ho chiesto e insistito. Dicono: al massimo diecimila euro di più. Ma dai… con diecimila euro ci compri una Twingo: davvero stiamo parlando di queste cifre? E in cambio anche voi avreste difficoltà burocratiche e blablabla? Risposta: eh, sì.
Però, mi spiegano, è chiaro che se chiudessero tutto e buttassero la chiave si risparmierebbe un bel po’ di più, perché a quell’istituto arrivano anche finanziamenti statali che poi vengono ridistribuiti tra i matematici italiani secondo criteri che la comunità si è scelta e gestita, finora, senza conflitti: se accorpare significa eliminare i fondi nazionali che finanziano in toto l’istituto, allora è tutto un altro paio di maniche. Il punto è proprio questo e mi pare di capire che non sono l’unica a non averlo capito.
Stiamo buttando la chiave, stiamo tirando giù la saracinesca sulla ricerca italiana, o stiamo riorganizzando per evitare sprechi?
Il sospetto è che si stia tagliando la ricerca perché qualcuno la ritiene uno spreco. Oplà.
E adesso chi gli telefona al ministro?

In conclusione, dicono i miei amici scienziati: sì, è vero, ci sono tanti sistemi interni alla ricerca italiana opinabili e questioni affrontate in modo ridicolo, gruppi di potere (ma è un potere piccolo, suvvia) e forse persino sprechi (nell’ordine delle Twingo). Ma, tra le tante cose che si possono fare per risparmiare, queste sono davvero inutili.
La verità è che la scienza costa poco e rende molto. E quando c’è da festeggiare, niente Circo Massimo, niente ricevimento dal Presidente della Repubblica, niente caroselli in città: ci accontentiamo di un collegamento da Ginevra e di qualche bottiglia di spumante. Che cosa volete, di meno, da noi?

Il cortile dell’Inran come appare stamani

Aggiornamento del 7 luglio: sono state cancellate le norme per il riordino degli enti, mentre rimane la soprressione dell’Inran (e rimangono le tende). Confermati, e pesanti, i tagli agli enti di ricerca.

Il gioco del calcio e la ricerca scientifica: preferirei tifare per la seconda, ma stasera mi tocca il primo

Stasera c’è la finale degli europei. A parte quattro animalisti duri e puri, i senesi alle prese col Palio e pochi altri snob ipernoiosi, saremo tutti inchiodati a un maxischermo a vedere la partita contro la Spagna. Ci sarò anch’io, mi sto già preparando e lo sto facendo con una certa allegria. Solo che proprio oggi il mio (già debole) patriottismo ha preso un paio di schiaffi.

Sono appena tornata dalla stazione Termini dove dovevo accompagnare un’amica al treno. All’ingresso lato via Giolitti i borseggiatori sono organizzatissimi: nell’androne ne vedi uno a ogni palo, capaci di fare il bodyscanner ai turisti sovrappeso e affaticati che passano da lì. Dietro di loro, le ragazzine sfrontate, che prendono istruzioni e seguono le prede migliori pronte ad alleggerirle della macchina fotografica o del portafogli. Forse ci vuole un po’ d’occhio e d’esperienza (e infatti la mia amica non se n’è accorta), di certo dieci metri più in là ti aiutano a capire la situazione due turisti anzianotti, smarriti e con le valigie spalancate per terra, nel dubbio se fare denuncia o correre al treno. Stanno raccontando disperati la loro esperienza a due carabinieri: questi ascoltano e non dicono niente.
Nella maggior parte dei casi, i turisti in questione sono stranieri, e nella maggior parte dei casi le nostre forze dell’ordine parlano loro solo in italiano, trattandoli con annoiata sufficienza, come se fosse colpa loro che sono americani, e di conseguenza poco furbi, se sono usciti seminudi dalla vasca degli squali.
Fuori ci sono i tassisti abusivi, appena ti muovi verso le zone turistiche ci sono i locali degli scontrini truffa, sugli autobus affollati succede di tutto e così via.
Che vergogna.

Intanto mi telefona un’altra amica. Mi racconta una storia da università italiana. Niente dettagli, meglio non darli, e comunque servirebbero a poco. E’ la solita questione di baronie e concorsi truccati, e di disprezzo per la ricerca pubblica. Stavolta a farne le spese è lei, la volta precedente era un’altra, o un altro: cambiavano settore disciplinare, ruoli e poco altro.
Non è vero che i ricercatori sono tutti raccomandati come si sente dire ultimamente e con candore (…). E’ vero che chi non lo è a volte ha la sensazione di combattere da solo e di non avere speranze. C’è chi cambia paese, chi si deprime e lascia perdere, chi si adatta. Chi fa come me nell’androne della stazione Termini ingresso lato via Giolitti: ci passo nel mezzo alla chetichella cercando di capire chi è pericoloso e di non farmi fregare, e ne esco il prima possibile, con sollievo.
Tra i miei amici scienziati nessuno è raccomandato e nessuno è capitato a fare ricerca per caso (sennò non sarebbero amici miei: a me la gente piace quando ha un po’ di passione addosso): storie come quelle della mia amica, quasi noiose nella loro ripetitività, mi fanno lo stesso effetto dei turisti a Roma. Mi fanno sentire un po’ la vergogna di essere italiana. Un po’. E mi fanno sentire impotente, anche perché di mestiere, io, la ricerca italiana la dovrei raccontare.

Il nostro è il paese che premia la furbizia più del talento, la fedeltà cieca più dell’indipendenza intellettuale. Lo fa a sue spese e lo fa anche nella ricerca, lo fa sempre e lo fa dappertutto. Ma oggi pomeriggio, un pensiero fugace: sta’ a vedere che lo fa sempre e dappertutto, tranne quando c’è da giocarsi la finale di un campionato europeo…
Stasera i nostri eroi nazionali saranno l’irrequieto Balotelli e lo sciocco Cassano. Chi se ne frega delle burrasche: i calci al pallone li sanno tirare, eccome se li sanno tirare. Quando li vedo ho quasi un pensiero da riscatto degli ultimi: dei cosiddetti nuovi italiani, e di quelli fin troppo vecchi e sciagurati.
Per almeno novanta minuti (e, speriamo anche oltre) saranno quei due ragazzini a farmi dimenticare della stazione Termini lato via Giolitti e delle baronie universitarie. Non basteranno a farmi sentire orgogliosa, ma a farmi pensare che potrebbe esistere un paese migliore, quello, forse sì.