Archivio mensile:Maggio 2012

Lezioni di giornalismo scientifico for dummies: compito in classe!

1. Terremoto in Emilia: a differenza di quello che è successo per il terremoto dell’Aquila, in questa occasione saltano fuori pochi pseudoscienziati incompresi, maghi che avevano previsto tutto, inquietanti terzine di secoli fa, profezie sudamericane e altre aruspicine ciniche, se non sui blog dei deliri, degli sciacalli e dei complottisti.
Però sui giornali e tivvù normali impazza il Professore che da anni dice di avere un modello capace di fare previsioni. Sono previsioni a sei mesi e su aree del territorio molto vaste, tipo dal Friuli al golfo di Sorrento, considerate poco significative dagli altri esperti del settore.
Il giorno dopo il terremoto viene pubblicato questo articolo, in cui si riferisce che invece il Professore aveva indicato con precisione la zona dell’epicentro.
E il giorno successivo, l’istituto per cui il Professore lavora si dissocia dalle dichiarazioni del Professore stesso.
Trovare l’incongruenza e il dettaglio perfido di questa storia.

2. Prevenzione del cancro: in un’importante trasmissione televisiva della terza rete nazionale, viene intervistato un biofisico solitario che dichiara di aver scoperto un metodo rivoluzionario per la diagnosi dei tumori della prostata (ma anche di mammella e gastrointestinale, si scopre facendo una semplice Medline), al quale sono stati rifiutati fondi pubblici per proseguire le ricerche.
Una giornalista scientifica critica il servizio ed è a sua volta molto criticata e così risponde.
Aiutandosi con i testi allegati e con le risorse disponibili on line, valutare, al massimo in tre righe, la credibilità dello scienziato di cui sopra.

3. Matematica: il genietto di sedici anni che ha sbaragliato Newton. La notizia viene dall’Inghilterra ed è di quelle simpatiche. La riprendono tutti.
Il vostro amico matematico, sollecitato, vi manda il seguente appunto chiarificatore:
Classificare nel minor tempo possibile la notizia:
a. bufala
b. scoop
c. da indagare, con forti sospetti di bufala
d. da indagare, con forti sospetti di scoop

4. Energia: un noto parlamentare presenta un’interrogazione scritta a favore di una rivoluzionaria nuova sorgente di energia nucleare.
Descrivere in tre righe il curriculum scientifico del noto parlamentare e quello giudiziario del rivoluzionario inventore.
Descrivere, in due righe a parte, perché la sorgente di energia nucleare non avrebbe molto di nuovo e di rivoluzionario secondo quei parrucconi degli scienziati ortodossi.
Elencare i mezzi di comunicazione che hanno dato credito alla vicenda.

Lezione di giornalismo scientifico for dummies / 3: E se avesse ragione lui? Uno su mille ce la fa

C’è gente che ritiene che i principi del metodo scientifico siano opinabili: opinabili anche durante una cena in pizzeria da parte di gente che di mestiere fa tutt’altro.
Strano: io non ho mai contestato il regolamento di San Remo o la struttura del Codice penale, né penso che lo farei, non avendo gli strumenti per permettermelo.
Eppure sulla scienza tutti hanno qualcosa da dire del tipo: al giorno d’oggi non puoi fidarti di nessuno, gli scienziati sono sempre un po’ presuntuosi, la scienza non può spiegare tutto, che male vi fanno gli scienziati non ufficiali, tutta ‘sta ricerca e non abbiamo ancora sconfitto il cancro e così via. Fino a una frase molto precisa, che è il tema della lezione di oggi: se parti con l’idea che chi dice cose fuori dal coro sia un ciarlatano, non troverai mai il prossimo Einstein!
A parte che non sta ai giornalisti, trovare il prossimo Einstein, nemmeno se sono laureati in fisica, forse è utile ricordare che Einstein diventò Einstein dopo aver pubblicato un articolo scientifico, di quelli standard scritti per la comunità scientifica, con il quale si guadagnò il Nobel. Non faceva esperimenti in garage ed è stato persino professore universitario.
Tutti i grandi scienziati dell’evo moderno si sono confrontati con gli altri scienziati: magari hanno dovuto scontrarsi duramente con le idee del tempo, magari ci è voluto un po’, ma hanno sempre accettato le regole. La differenza è questa: uno scienziato accetta le regole. Un ciarlatano (vedi lezione uno e due) no.

Però la domanda è legittima. Che cosa succede se uno ha risultati del tutto diversi da quelli che la scienza ha trovato fino a oggi, e li propone al resto della comunità?
Stavolta lascio la parola a uno scienziato vero: lui si chiama Ezio Puppin, è professore di fisica al Politecnico di Milano ed è presidente del Cnism, Consorzio nazionale interuniversitario per le scienze fisiche della materia, al quale afferiscono 1300 ricercatori universitari. Ecco che cosa mi scrive:

“Scienza significa scoprire cose nuove.
Siccome sono nuove, bisogna essere sicuri di quello che viene detto e, dopo vari tentativi durati millenni, alla fine si è concluso che l’unica soluzione è quella di mettere tutti quanti in condizione di verificarle in modo indipendente.
Nel caso in cui le verifiche siano negative si aprono due scenari possibili.
1) Il più frequente: lo scienziato A dice di avere visto qualcosa di nuovo, ma B scopre che in realtà c’è stato uno sbaglio. B spiega la cosa ad A, che magari ci mette un po’ a convincersi, ma alla fine deve ammettere che l’errore c’è stato. E tutti amici come prima. Esempio: i neutrini più veloci della luce.
2) Lo scienziato A non molla anche dopo che tutti quanti gli hanno spiegato che ha fatto degli errori e che quello che sostiene di aver visto lo vede solo lui.

Due sottoscenari del caso 2:
2a) A continua fino a che corregge gli errori e ripropone i suoi risultati in una forma che consente di verificarne la correttezza. Con qualche fatica il bene trionfa, e anche qui tutti amici.
Esempio: i quasicristalli che, al momento della scoperta, vennero irrisi da molti. Schechtman andò avanti a pubblicarli (su Physical Review Letter, coè su una rivista scientifica standard, non sul suo sito internet o durante una trasmissione televisiva) fino a che tutti dovettero riconoscere che aveva ragione lui.
In questo caso, riconosciamo che A ha ragione, bravo A, e gli diamo anche il Nobel (per la chimica). Ma A si è mosso dentro le regole accettate dalla collettività.
2b) A continua per la sua strada ma non convince nessuno: i suoi risultati rimangono affermazioni non verificate da altri.
A questo punto si può innescare il rigetto di A nei confronti della comunità scientifica: che sia in buona o cattiva fede, A comincia a parlare di persecuzione nei suoi confronti. Qui le possibilità sono infinite perché intorno a questa parola si possono coalizzare personaggi di ogni risma:
scienziati falliti o folgorati da idee bislacche (come Brian Josephson, premio Nobel per la fisica che dopo le sue scoperte fatte a 22 anni si dedicò alle comunicazioni con l’aldilà),
non-scienziati ma santoni con pretese trascendentali (fondamentalisti religiosi, ufologi, alternativi antisistema di ogni colore… quasi sempre a caccia di soldi),
personaggi noti più che per le competenze scientifiche per le vicende giudiziarie (Andrea Rossi, quello dell’e-cat e della fusione fredda),
politici del tutto incompetenti ma assolutamente spregiudicati (Francesco Storace e il suo sostegno alla terapia Di Bella: questo l’ho aggiunto io, ndr),
incroci dei tipi precedentemente elencati variamente assortiti (la storia dell’energia pulita da piezonucleare, anche questa l’ho aggiunta io, ndr). E così via.”

Chiaro, no? Il caso più bello è il 2a, ma è anche il più raro.
Il caso più frequente è l’1, ma non finisce quasi mai sui giornali perché è la normale dialettica della scienza.
Il caso 2b è quello su cui si misura la professionalità del giornalista e la capacità di una società di difendersi dai disonesti.
En passant, vi ricordo che la salute, per la Costituzione e non per un mio vezzo, è diritto del cittadino ma anche interesse della collettività: per cui sta allo Stato difendere i più deboli (e anche i più ingenui) dalle minacce di santoni e ciarlatani di vario stampo. Dire a gran voce politici: date soldi a questo qua che in garage ha trovato la cura per tutte le malattie! è una cosa un po’ più grave di una temporanea leggerezza.

La lezione di oggi si chiude con una frase di un altro fisico, un altro premio Nobel come Einstein, uno che ha cambiato la scienza e la nostra vita da una normale cattedra universitaria: Il difficile è cercare di immaginare qualcosa che a nessuno è mai venuto in mente, che sia in accordo in ogni dettaglio con quanto già si conosce, ma che sia diverso. E che sia inoltre ben definito, e non una vaga affermazione.

Lezione di giornalismo scientifico for dummies / 2: perché un calciatore che giochi con le mani non è sempre un geniale innovatore

Provo a riassumere la faccenda.
La scienza ha le sue regole.
Il giornalismo anche.
Lo sport ha le sue regole, l’economia le sue regole e il teatro le sue regole. E così via.
Se faccio il giornalista scientifico, si presume che conosca le regole del giornalismo e quelle della scienza.
Se faccio il giornalista sportivo, quelle del giornalismo e quelle dello sport.
Se faccio il giornalista scientifico e finisco per trovarmi a lavorare su una cosa di sport senza saperne le regole, potrei pensare che uno che gioca a calcio con le mani sia un geniale innovatore. Invece molto più probabilmente è un baro. Idem per un giornalista che non conosce le regole della scienza e si trova a lavorare su una cosa di scienza.
In entrambi i casi, ci vengono in soccorso le regole del giornalismo, che impongono di verificare un bel po’ di volte quello che stiamo per dire.
Cioè: nel caso in cui mi trovassi a commentare una partita di calcio in cui, inatteso, c’è uno che tira una punizione con le mani, correttezza vorrebbe che prima di gridare al genio, io che di sport non capisco una mazza, facessi una telefonata a chi conosce le regole del gioco. E verificassi con attenzione.
Nella scienza una delle regole principe (analoga a quella per cui il calcio si gioca coi piedi, tranne se si è il portiere) è che chi ha un’idea nuova deve confrontarsi con i colleghi scienziati e mettere loro a disposizione tutte le informazioni che servono a ripetere l’esperimento e a verificare se anche a loro dà gli stessi risultati.
Per questo gli scienziati pubblicano sulle riviste scientifiche. Non perché abbiano velleità letterarie, ma perché devono comunicare con gli altri.
Non tutte le riviste scientifiche sono uguali, attenzione: uno scienziato sa quali valgano di più e quali di meno nel proprio ambito di ricerca. Un giornalista scientifico conosce le riviste principali (e ne conosce anche i limiti, perché è uno smagato) ma per le cose di settore deve ovviamente rivolgersi a un esperto di fiducia e fare domande tipo journal of international science of… è roba seria? A un giornalista non scientifico forse bastano le parole international e science per decidere che, beh, che bomba… Invece no, non è sempre così. Di nuovo, attenzione alle regole: vanno conosciute e non basta il buon senso.
Detto questo, è forse più facile capire perché il giormalista scientifico di rango si mette le mani tra i capelli quando vede dare risonanza a uno scienziato che non discute con gli altri il proprio lavoro, dà pochi elementi, o nessun elemento, di quelli canonici per confrontarsi con i colleghi, racconta con fare da salvatore dell’umanità la sua scoperta fatta in cantina. E magari intanto dice che sono gli altri a isolarlo e a non capire il suo genio*…
Sarebbe come un calciatore che, invece di discutere con l’allenatore e i compagni, andasse dai giornalisti a dire che il calcio di rigore tirato con le mani cambierà la spettacolarità del campionato e farà crescere le entrate dei club ma che nessuno, in quella squadra di cattivoni, lo vuole ascoltare. Tutti si ostinano ancora a usare i vecchi e usurati piedi. Che strano.
Fate voi.

(Nella prossima puntata della serie, che caricherò probabilmente dopodomani: che cosa succede quando qualcosa va storto, con la gentile collaborazione di Ezio Puppin, professore di fisica al Politecnico di Milano e presidente del Cnism) (Che cos’è il Cnism? Andate a controllare!) (più che gentile collaborazione, si tratta di una sua bella mail: una ragione in più per non perdersela. Stay tuned!).

*Avete pensato anche voi a Gianpaolo Giuliani? Alzi la mano chi invece ha pensato all’omeopatia e a cristalli per la salute e robe di questo genere. C’è invece qualcuno che ha riconosciuto qualche sistema meraviglioso di produzione di energia pulita? Che strano, eh. Nella scienza ce n’è per tutti i gusti. Però le regole sono sempre quelle e, guarda caso, i modi di infrangerle anche.

Lezione di giornalismo scientifico for dummies e for gente che di mestiere fa altro e dovrebbe continuare a far altro

Regola numero 1: Lo scienziato sedicente eterodosso, fuori dal coro, non ufficiale, indipendente e via discorrendo, nel 99% dei casi è un ciarlatano.
Regola numero 2: Nella scienza, e nella medicina in particolare, i ciarlatani possono essere molto pericolosi.
Regola numero 3: Anche se non sono così pericolosi, i ciarlatani tendono a chiedere soldi: ai cittadini, alle istituzioni, alla politica. Magari lo fanno raccontando storie semplici semplici sugli interessi degli altri nascondendo con cura i propri: ricordiamoci che nessuno vive d’arte e d’amore.
Regola numero 4: Un giornalista che dà voce al ciarlatano, inseguendo lo scoop a tutti i costi per poter dire guardate, è un genio, ma nessuno gli dà ascolto, farà buoni ascolti ma sta facendo malissimo il suo mestiere.
Regola numero 5: Idem per il politico.
Regola numero 6: Come si riconosce il ciarlatano? Cfr regola numero 1. Ah: in più il ciarlatano muore dalla voglia di essere intervistato.
Regola numero 6, corollari: Altri criteri per riconoscere il ciarlatano li copio dal manuale di giornalismo della World Federation of Science Journalists: chiedersi sempre
a. che cosa ne pensano gli altri scienziati?
b. per chi lavora quello lì? è un battitore libero o ha della roba solida alle spalle?
c. chi paga, o ha pagato finora, le sue ricerche?
d. che cosa ha pubblicato e dove?
e. chi ci guadagna?
D’accordo: per valutare le risposte a queste domande ci vuole un po’ di competenza (soprattutto per le domande a, b, c e d). Ma è proprio per questo che esiste la figura del giornalista scientifico.
Regola numero 7: la ricerca del colpevole a tutti i costi nella scienza non funziona quasi mai. Ci sono cose che non hanno colpevoli diretti (alcune malattie dovute a sfiga), cose che ne hanno più di uno (la cattiva gestione dell’energia) e soprattutto cose i cui colpevoli, alla fine, siamo noi, anche noi o in primo luogo noi: la maggior parte delle nostre malattie, la qualità del nostro ambiente, la scarsa attenzione alla qualità della ricerca, la cattiva gestione dei soldi e così via. Cercare un colpevole esterno, lontano, grande e magari anche con qualche difficoltà di immagine (la semprevalida politica…) è il modo migliore per garantire che questi problemi restino a lungo fra noi.

Le scrivo per me, per promemoria, e sicuramente appena avrò chiuso questa pagina me ne verranno in mente altre.
Perché ultimamente, tra la gente che frequento dal vivo e in blogosfera, il venerdi e il lunedi c’è da divertirsi. Se la prendono con Report che, a furia di voler inseguire il notizione bomba, dice cose e dà voce a gente che a noi fa venire la pelle d’oca. E lo fa col tono di chi ha scoperto la grossa bega, ahahhhh!, o il povero genio inascoltato, colui che potrebbe salvare migliaia di vite e invece, guarda te, lavora in cantina e parla solo con la moglie. Report è riuscita a far arrabbiare persino i miti astrofisici e un mio amico architetto, non solo epidemiologi, medici clinici e gente che si occupa di salute ed è abituata alla polemica politica.
Un po’ questa cosa mi preoccupa. Ma non solo come cittadina, come amante della scienza, come persona che lavora nella comunicazione… Egoisticamente, mi preoccupo come watchdog degli watchdog, una a cui, a volte, gli altri chiedono pareri.
Ce la farò? Ce la sto facendo? Ho appena smontato un lavoro sul solito metodo innovativo rivoluzionario del solito genio bistrattato, ma stavolta era una cosa facile.
Altre volte non ce l’ho fatta.
Poi ho anche paura di diventare paranoica, di vedere ciarlatani da tutte le parti.
Ma mi chiedo anche se, in fondo, la famosa filastrocca che i giornalisti non scientifici ci ripetono di continuo: un pezzo di scienza è prima di tutto un lavoro giornalistico, non pensiate che si scriva in modo diverso! non possa usarla anch’io. In questo modo: occhei, occupatene pure tu che di scienza non sai niente e lo trovi un motivo di vanto, ma ricordati che un pezzo di scienza è prima di tutto un lavoro giornalistico, quindi, almeno, fa’ quello che faresti con qualsiasi altro pezzo, cioè verifica le fonti, chiediti che interessi ci sono dietro, fa’ un paio di telefonate in più, non berti tutto quello che ti dicono, non essere ossequioso e così via.
Sono credibile?

O ce n’è o ce n’è state o ce n’è di rimpiattate: saltino fuori le “vere” partite Iva

Non sono sicurissima di avere capito e mi stupisce anche un po’ il silenzio sulla questione. Il ddl lavoro, sempre prodigo di sorprese e frizzanti novità, adesso stabilisce diciottomila euro all’anno di fatturato come soglia per definire la vera partita Iva? Ho sentito bene?
Ma, signori miei: con meno di diciottomila euro lordi all’anno chi è che ci vive? Uno che abita con babbo e mamma, forse, o un evasore fiscale. Di certo non io. E guardate che non è che abbia i rubinetti dorati e trecento paia di scarpe nell’armadio. Solo che ogni tanto faccio i conti. Diciottomila euro lordi all’anno, col mio regime di partita Iva, viene meno di mille euro al mese. Un bel po’ meno (in proporzione).
Ho chiesto in giro: nemmeno i miei amici camperebbero con diciottomila euro lordi all’anno. Tutti quelli che, monoclienti si sono trovati a fare i conti con lordi di quell’entità, prima o poi hanno capito di doversi dare da fare e hanno raccattato altri introiti grazie ai quali pagare le bollette e la spesa. Non mi sembra il caso di punirli per questo.
Il problema mi pare sempre lo stesso: si guarda il dito e si dimentica la Luna. La questione non deve essere l’individuazione del lavoratore con una falsa partita Iva: il problema deve essere l’individuazione dell’azienda che fa lavorare la gente a partita Iva ma poi la tratta da dipendente. Anzi: prende il meglio delle due condizioni e le volge a suo beneficio.
Tipo (ogni riferimento a fatti e situazioni realmente accaduti è casuale, eh): non si capisce da quando cominci il contratto (maggio, giugno, luglio, settembre? Agosto giammai: gli amministrativi sono in ferie) né quando finisca (poi ci si aggiusta), non si sa quale sarà il compenso (che domanda venale, vergogna) e comunque non lo si potrà contrattare. Quello che è certo è che orari e mansioni saranno le stesse di un dipendente, ma con più variabili. E sta’ pur tranquillo che anche mentre sarai in attesa del contratto ti verranno richieste prestazioni di avvicinamento e tu non potrai rifiutare: sei parte della squadra, no?
Ora, non so come si possano individuare queste aziende. Ci vorrebbe davvero una bella pensata e un grande sforzo di fantasia. Eh, accidenti. Proprio non saprei.
Ma insisto: perché chiedere al lavoratore a partita Iva di certificare la propria veridicità (io sono una partita Iva) visto che uno diventa vero o falso solo in relazione al cliente che ha davanti? Non è mica un fatto ontologico, è una questione di relazione. E perché far finta di non sapere che anche un fatturato di ventiquattro o, toh, ventottomila euro all’anno (ricordo che oltre alle tasse, alla previdenza, alle gabelle per gli ordini vari, ci si deve pagare il commercialista, e poi quello non è il fatturato di chi ogni anno può scaricare l’acquisto di tre o quattro computer o di un auto da corsa, per dire) sono introiti alle soglie della dignità per un lavoratore adulto?
Aspettiamo con ansia la prossima proposta su come distinguere una falsa partita Iva: da come si veste (di beige), da come mangia (con i nonni), da come manda i bambini a scuola (con i nonni), da dove passa le vacanze (con i nonni).

Poverino a chi? Famola finita con la lagna dello scienziato precario e parliamo di roba seria

Vi dico un segreto: nemmeno gli scienziati sopportano più i patetici tormentoni dello “scienziato precario, poverino” e del “cervello in fuga, poverello”.
Anche gli scienziati stanno cominciando ad avere i loro moti di orgoglio, e qualcuno si è persino accorto che dietro al microfono in cui sta parlando c’è un redattore malpagato con un contratto che scade ancora prima del suo, e che a casa c’è tanta gente nelle stesse condizioni: quindi pudore. O almeno furbizia.
Poi si sono accorti, forse, che parlare di precarietà e di meritocrazia insieme porta a un cortocircuito comunicativo antipatico e controproducente (vuoi essere assunto perché è tanto tempo che lavori con contratti temporanei, o vuoi essere assunto perché sei bravo e potresti fare qualcosa di utile per la collettività? Diglielo, all’amico giornalista: sei bravo, il punto è che sei bravo. Non un poverino, uno bravo: un bravo scienziato su cui converebbe a tutti investire).
E poi che palle. Basta. Non è che sei scienziato: è che sei nato dopo il 1970 in Italia e, come tutti i tuoi coetanei o quasi, sei una creatura sociale diversa da quella che sono stati i tuoi genitori. Pazienza. Ci è andata così. In compenso abbiamo Wikipedia e l’Iphone.

Tempo fa sono andata a intervistare uno scienziato simpatico sulla quarantina. Era la seconda volta in cinque o sei anni che la mia testata si rivolgeva a lui: ai tempi della prima, lo scienziato aveva un contratto a termine, adesso ne aveva uno a tempo indeterminato. Per fare le stesse cose. Che poi erano quelle che interessavano a me, mica il contratto.
La sera prima della seconda intervista, a cena, la moglie dello scienziato simpatico si era avvicinata e mi aveva confidato, sotto lo sguardo premuroso del marito… sai, l’altra volta avete un po’ insistito sul tema della precarietà. Mio marito era precario, sì, ma era solo questione di tempo. Non volevamo apparire lamentosi: sarebbe stato anche poco corretto nei confronti di tanti colleghi. E poi avevo chiesto di non accennare alla mia, di precarietà da scienziata, che insomma era una cosa ancora diversa. Questa volta di che cosa pensi che… E io, convincente, rassicurante, l’avevo interrotta: tranquilla bambola, stavolta ci interessa solo la scienza.
Invece, per un caso che non sto a spiegarvi, e per necessità che vabbene, e per questioni di contesto che oh, anche la seconda volta ci si è tornati su, più o meno in questo modo: finalmente lo scienziato simpatico è stato regolarizzato, e anche sua moglie: non sono più precari e oggi entrambi stanno facendo un lavoro bello e utile…
Siccome quello è simpatico, mi ha mandato soltanto una mail spiritosa: la terza volta verrete a intervistare uno scienziato regolarizzato ma divorziato!

E poi basta con la macchietta del povero cervello in fuga. E’ vero, tanti se ne vanno perché all’estero in genere si trovano posti migliori, con stipendi migliori e (soprattutto) migliori condizioni di lavoro. Ma tanti poi tornano, ciascuno per la sua ragione. E comunque tanti se ne vanno da tutte le parti verso (quasi) tutte le parti (non verso l’Italia, e semmai il problema è proprio questo) perché la scienza è fatta così: non esiste una scienza senza confronto e scambio. Da sempre.
Ma non è che chi rimane, o chi torna, è un cretino che fuori non ha mercato. Nemmeno un vigliacco che non si vuole staccare da mamma e babbo. E men che meno un eroe che vuole cambiare il paese. Nella maggior parte dei casi, è uno che sta bene anche qui. Anzi: proprio qui.
E, a margine: chi rimane e con la sua laurea scientifica si mette a fare, per dire, l’insegnante o il politico o il giornalista, non merita meno degli altri la graziosa qualifica di “cervello”. Eh. Grazie.

Vi dirò di più: si trovano anche scienziati che non vogliono lamentarsi nemmeno dei soldi che hanno per fare ricerca. Si sono rotti anche delle lagne su quella, che è una questione sacrosanta e imbarazzante che colpisce tutti i settori e tutte le forme contrattuali.
Ho l’impressione che sia il momento, per tutti, di discutere piuttosto di che cosa fanno gli scienziati e perché, piuttosto che andare a sbirciare nelle loro vite private o prestare loro una spalla su cui piangere. Anche perché se non lo sai, cosa fanno gli scienziati e perché, difficilmente avrai voglia di dare loro un sacco di soldi per costruirsi un acceleratore di particelle o per regolarizzare tutti i precari che ci lavorano intorno.
Tipo: Marco Paolini in tivvù fa il botto con Galileo al Gran Sasso mentre Report indottrina i suoi spettatori con servizi scientificamente scorretti (e fa il botto lo stesso), intanto sul Due c’è una che dovrebbe parlare di scienza e invece boh non commentiamo, Repubblica ha di nuovo intervistato quel tipo ciarliero e poco affidabile e su Tuttoscienze della Stampa c’era un articolo sulla memoria dell’acqua. Di questo parlano i miei amici scienziati, oggi, e di questo si preoccupano: dell’immagine della scienza che viaggia nel paese. Che, ahimè, ormai è un’immagine fatta anche di scienziati-precari-poverini, e non giova a nessuno.
Ma questi scienziati, spesso, hanno tanto da dire e da fare. Se ci usciste un po’ più spesso a cena vi accorgereste che non sono poverini per niente, che detestano le lagne inutili e che i loro cervelli li usano, a volte, anche per riflettere su quel che succede nel mondo là fuori. Fino a concludere che è il momento di raccontarsi in un modo migliore: meno centrato sul proprio conto in banca e più attento ai meccanismi della comunicazione e al resto della società. Speriamo che duri.