Piccolo glossario di parole prese dalla scienza e usate per vendere altro, o prese da altro e usate per vendere non-scienza

Radioattività: e sai cosa bevi. Il mio segreto contro i sette segni del tempo? La Radioattività! E poi una bella cucchiaiata di Sciroppo di Torio e Radio: un ricostituente per il grande e il piccino. E così via.
Un secolo fa radioattività era una parola da marketing: ci vendevi prodotti di bellezza e panzane tonificanti per i convalescenti. Anche se dentro c’erano solo glicerina e zucchero. Del resto, conteneva la parola attività e poi era stata appena scoperta: dio quanto ci piaceva, un secolo fa, sentire dire che potevamo spalmare la pelle di radioattività.
Se ancora oggi andate in certi stabilimenti termali con fuori le mattonelle originali dei primi del Novecento, scoprirete che proponevano entusiasmanti acque radioattive. In quel caso era vero. Ma attenzione, abitanti del ventunesimo secolo: si trattava (e si tratta) di radioattività naturale. E allora se ieri ci piaceva un casino, oggi ci sembra appena appena accettabile. Perché oggi radioattività è diventata una parolaccia mentre naturale è un passepartout per consumatori on-off e quindi, come si dice dalle mie parti, poggio e buca fan pari. È radioattività, sì, ma è naturale, allora va bene. Bah.

Naturale: sarebbero naturali anche l’amanita falloide e la cacca dei cani, questo non significa che facciano bene o che possano essere impunemente diffusi nel nostro ambiente (il nostro, intendo: un’amanita falloide nel bosco va benissimo: è casa sua. Nel mio piatto no). Sono artificiali, invece, gli occhiali, ma io sono così contenta di averli sul naso. Quando lo dico alle mie amiche a caccia di prodotti naturali mi rispondono che loro parlano in linea generale e che sono una sofista, e finiscono per comprare l’equivalente moderno del dentifricio radioattivo. Mi consolo pensando che probabilmente, come nel caso del dentifricio di cui sopra, si tratta di normalissimi e ipercontrollati prodotti commerciali, solo un po’ più cari. La differenza è il prezzo di quella parola.
Biologico (o bio, o bio-): è una parola strana. A me, per anni ha fatto pensare a un laboratorio con gente in camice bianco, che studia. Un posto da biologi, appunto. Adesso biologiche sono le carote. Niente più libri e banconi, ma terra. Quand’è che biologico è diventato sinonimo di terra e di buono da mangiare? E lo sanno, le mie amiche che comprano le carote biologiche del supermercato, che sono biologi anche i ricercatori di Milano a cui hanno rubato i topolini usati per la ricerca, al grido ottuso e medievale di no alla sperimentazione sugli animali? Con biologico ti fanno comprare anche i chicchi d’uva confezionati uno per uno: ti dicono biologico e paghi il doppio, anche se hai letto sul giornale di quante e quali truffe si facciano dietro questa parola, anche se fino a un paio di anni fa non avevi mai visto uno spot della verdura in tv, e anche se tuo nonno nell’orto ci spruzzava il verderame*, eccome.
Ecologico: ah, con questa ci vendi persino le automobili.
Organico: è un inglesismo che sta diventando di moda. Gli inglesi usano organic come noi usiamo biologico riferito al cibo. Peccato che organico (parola ricca di significati vari) per un chimico sia composto del carbonio, quindi noi e la lattuga, ma anche il petrolio, il metano, il catrame. Basta mettersi d’accordo. Per esempio, con l’organico, detto proprio così elle-apostrofo-organico, si intende la frazione dei rifiuti urbani che può andare al compostaggio.
Chilometrozero: la cosa interessante è che è vero, ci sono prodotti che puoi comprare dal contadino dietro l’angolo: sono buoni, hai risparmiato un sacco di carburante ed è una cosa bella. Poi però dovresti anche appurarti che il rifiuto che produci dopo aver mangiato quel prodotto sia smaltito altrettanto a chilometrizero. Troppo facile guardare solo alla produzione e non allo smaltimento. Se l’organico il tuo comune lo smaltisce a trecento chilometri da casa tua, col cavolo che puoi continuare a chiamare la tua bistecca chilometrizero: la dovrai chiamare chilometrizeropiùtrecento, sennò non vale.
Staminali: pochi anni fa, fumo negli occhi. Terrore. Scienziati-Frankenstein e così via. Oggi le mie amiche comprano le creme di bellezza alle cellule staminali di bambù. Vabbè: sono cento anni almeno che compriamo creme di bellezza con etichette fantasiose e abbiamo capito che la cosmetica ci fa innamorare e disamorare delle parole in tempi veloci. Ma le mie amiche sono contrarie agli Ogm, e allora perché pensano di inserire, tra le loro, cellule di bambù? E poi che cosa dovrebbero fare quelle staminali? Far crescere l’erba sulla faccia**?

Ci sono le parole che si usano soprattutto per i bimbi (officina, che sa di scienza in cui metti le mani, quasi un gioco), quelle che piacciono a chi si sente smart (gli avverbi in –mente, soprattutto se davvero di mente si parla). E ci sono quelle smart come smart.
Ci sono quelle per la politica. Partecipato, condiviso, dal basso, social. Siccome politica ci piace poco e sempre di meno, facciamo come per l’acqua, radioattiva sì ma naturale: poggio e buca. Non solo: possiamo mettere queste parole dietro ad altre, dall’agricoltura all’informatica, e chissà. Mi chiedo quanto manchi alla proposta di una radioattività partecipata oppure alla chimica organica dal basso. Le possibilità sono tante e lo sappiamo che la moda, gira e rigira, ogni vent’anni ci propone le zampe di elefante.
Ci sono le parole che tra gli scienziati significano che sei un figo: le parole in nano-, per dire, perché se fai ricerca nano- sei davvero al passo coi tempi.
Le stesse parole possono invece essere allo stadio del fumo negli occhi (cfr. staminali qualche anno fa) per gli amanti del naturale. E nano– è in cima alla lista, come il terribile nanoinquinamento che è legato alle scie (attenzione) chimiche. Già, perché se devi vendere una cosa ricordati che la biologia è buona mentre la chimica è cattiva. Almeno per ora.
Poi ci sono le parole che servono per vendere stupidaggini, non carote, creme o iniziative politiche (che magari sono davvero ottime carote, creme e iniziative politiche, al di là dello slogan). La parola ufficiale riferita alla scienza, per esempio, è sempre seguita da una panzana. Potete stare tranquilli. Semplicemente è il sistema per farvi credere che esista una scienza indipendente che sta dalla vostra parte, dalla parte della gente e non della kasta. Ma la scienza è una sola e sta da una parte sola: tutto il resto semplicemente non dovrebbe mettersi l’etichetta di scienza addosso.
Infine, con mio grande scorno ho appena scoperto che ci sono persone che si definiscono scienziato freelance. No, perché freelance è una parola a cui sono affezionata: la uso per definirmi, mi ci identifico. Ma uno scienziato freelance non mi torna. Certo, uno scienziato può lavorare per diversi istituti nel corso della sua vita, può cambiare settore di studi, oggi è abbastanza normale che non abbia un contratto a tempo indeterminato e che si sposti. Ma in ogni modo deve vivere nella comunità scientifica, confrontarsi con gli altri, scrivere e leggere ed essere riconosciuto con parametri propri della sua disciplina. Non sarà che stanno usando freelance come indipendente, che riferito a un mestiere tipo il mio tanto tanto può andare, ma riferito alla scienza un po’ meno? Non sarà che mi hanno appena rubato una parola? Anzi: non sarà che in un colpo me ne hanno rubate due?

 

* I miei nonni hanno sempre abitato in città e l’orto non ce lo hanno mai avuto: per come li ho visti io, hanno sempre fatto la spesa al supermercato. Se avete notizie dettagliate sui vostri nonni contadini e sui loro orti (come un tempo o di una volta), sono pronta a correggere.
** Omaggio al poeta.

17 pensieri su “Piccolo glossario di parole prese dalla scienza e usate per vendere altro, o prese da altro e usate per vendere non-scienza

  1. Ma si… Io i miei nonni apenna li ho conosciuti, però vivono ancora quelli del mio marito e l’orto ce l’hanno come ce l’abbiamo anche noi da quando siamo usciti delle città!!!

  2. Splendido riassunto, e sì, io avevo il nonno contadino, e il verderame lo dava a tonnellate. In più le talpe non le prendeva e posava delicatamente altrove, ma se non se le mangiava il gatto le pigliava a rastrellate…altro che sperimentazione animale….

  3. quelli della mia generazione , ricorderanno senz’altro il dentifricio SIGNAL a strisce bianco e rosso pubblicizzato con contenuto di esaclorofene!

  4. I miei nonni il verderame lo spruzzavano allegramente nella vigna, ricordo di aver aiutato la nonna da piccola a spruzzare, e l’odore della “poltiglia bordolese” sa paticamente di tarde vacanze estive, quando l’uva cominciava a maturare e il tempo a girare al brutto, e giú di rame dopo ogni pioggia, sperando di fregare funghi e compagnia sul tempo.

    Comunque comunico a tutti che il verderame, il solfato, ufficialmente é “biologico”, perché non é un prodotto di sintesi.
    Chimico, ma non di sintesi.
    Il “bio” in fondo in fondo é una religione 😉

  5. Bioclimatico, Bioarchitettura, Bioenergetico, Energetico, Efficiente, Energeticamente Efficiente, Energia Quasi Zero, Edificio che respira, Riscaldamento Passivo, Casa Passiva, Raffrescamento Passivo, Rinnovabile, Solare, Sostenibile, Sostenibilità, Smart City, Smart Grid, Grid Parity, Ventilato, Vivibilità, Visibilità.

  6. Freelance ormai si dice per chiunque non abbia un contratto a tempo indeterminato. Se fossimo onesti dovremmo continuare ad usarlo solo per le categorie per cui era stato coniato, cioè giornalisti e fotoreporter – persone che per definizione del loro lavoro avrebbero dovuto essere dipendenti ma avevano scelto (quando c’era scelta) la strada del lavoro “autonomo”. Non può definirsi freelance chi fa un lavoro per definizone autonomo (… che so “venditore ambulante freelance”), men che meno dovrebbe essere definito freelance qualunque precario (o disoccupato). Scienziato freelance è bello assurdo. Ma io ho sentito pure “manager freelance” e anche quello non è male…

  7. Che poi, il verderame, in quanto prodotto a decadimento rapido, tecnicamente è “biologico”. Ed è per lo stesso motivo che devi continuare a darlo: dopo un paio di settimane l’effetto è svanito e bisogna riapplicarlo…

  8. Martino, ti sbagli, il verderame e’ molto permanente, solo che viene dilavato dalla pioggia e va a inquinare il terreno e le falde..
    E’ “bio” solo perche’ non e’ “prodotto sintetico”.

  9. Accidentalmente ho avuto a che fare con un noto (alle forze dell’ordine ma non a me e molti altri) truffatore il quale si spacciava per ingegnere con tanto di laurea finta nello studio in cui operava. Facendo una breve ricerca su internet poi ho scoperto che la Rai gli ha dedicato una parte di una puntata su “Mi manda Rai 3” in cui il personaggio si è finto ingegnere per farsi fare un prestito dalla sua compagna, la quale si è ritrovata con i prestiti non restituiti mentre il truffatore è scomparso…successivamente sono intervenuti altri truffati. Inoltre ho trovato un articolo in cui veniva condannato a due anni e mezzo di reclusione per una truffa da 3 milioni di euro a 40 risparmiatori, spacciandosi come promotore finanziario. Una persona “geniale”. Infatti, quando ho avuto modo di conoscerlo (dopo gli episodi citati), si occupava di costruzioni edilizie attraverso una società dal nome Biotec. E già….un nome una garanzia….costruzioni fatte adottando biotecnologie, materiali naturali…energia naturale come la geotermia…insomma vivere naturale..ecc…Tra i truffati coppie di giovani che anticipavano i soldi per una abitazione “biocompatibile”…soldi che dovevano servire per pagare altri professionisti (architetti, ingegneri, geologi) a loro volta tra i truffati…La sua scelta, quella di adottare tale nome della società e di occuparsi di biotecnologie, infondeva nei clienti una inconscia rassicurazione…logicamente il tutto era condito dalla sua loquacità e apparente preparazione in diversi campi delle costruzioni. Anche le zone scelte in cui operare erano frutto di un preciso ragionamento…zone un po’ arretrate ma non con un alto indice di criminalità in quanto avrebbe rischiato molto di più la vita.

  10. A me sembra un articolo che serve solo a dare scuse per continuare a consumare in maniera irresponsabile,senza attenzione a ciò che compriamo,e senza attenzione all ambiente.
    Se compro i kiwi dell Ecuador o quelli dimcesena una differenza c’è, a prescindere da dove il mio comune smaltisce l’organico..:

  11. Un po’ per celia, ne ho raccolti alcuni e non ci si mette neanche tanto tempo

    http://ilpianetadellescimmie.wordpress.com/2012/09/15/186/

    Riguardo i nonni in campagna, io ho ancora degli zii che abitano nel “fantastico” Salento, ma non “pizzicano” e da una vita spargono pesticidi e ogni volta che andiamo a trovarli ci regalano cassette di ottima frutta e verdura, come a dire che il sapore succoso del pomodoro di una volta (cit. Pascale che cita Citati nel suo Scienza e Sentimento) non dipende dal metodo biologico, ma dai sali della terra 🙂

  12. Ma voi con cosa lo fate, il “verderame” ovvero poltiglia bordolese ? Solfato di plutonio ?
    Ma per favore, adesso il solfato di rame è così “permanente” che inquina le falde…

    Intanto, per chiarire, vogliamo capire che biodegradabili/degradabili son solo i composti organici, o gli inorganici in molto alto (o molto basso) stato di ossidazione: il ferro, per dire, si ossida, come il rame, alla lunga, e lo zinco.

    Anonimo SQ

  13. In questo elenco manca il concetto QUANTISTICO. Ci sono centinaia si siti e associazioni New Age che propongono bufale QUANTISTICHE.
    Psicologia quantistica (ma quando mai?), energia quantistica per l’elevazione spirituale e fisica, fisica quantistica che confermerebbe l’uso di tecniche prive di qualsiasi fondamento scientifico e di buon senso….

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